di Giuseppe Longo
CIVIDALE – Che bella, intensa, suggestiva! Tre aggettivi importanti, ma tutti insufficienti a delineare il significato e il valore della “Messa dello Spadone”, il partecipatissimo rito – in Duomo non meno di un migliaio di persone! – che si è rinnovato ieri mattina, solennità dell’Epifania di Nostro Signore, a Cividale. Il tutto in una giornata che non lasciava prevedere nulla di buono dal punto di vista meteorologico e che, invece, con sorpresa di tutti ha consentito si snodasse regolarmente l’intero programma e quindi anche la bellissima rievocazione storica dell’ingresso nella città longobarda del Patriarca Marquardo von Randeck, avvenuta nel remoto 1366. Ne è rimasto sicuramente affascinato l’arcivescovo Riccardo Lamba che, insediatosi appena il 5 maggio scorso sulla Cattedra dei Santi Ermacora e Fortunato, ha presieduto per la prima volta la magnifica celebrazione. Come pure chi scrive che vi aveva partecipato l’ultima volta una ventina d’anni fa, quando allo storico altare – e non quello a mensa usato stavolta – era salito monsignor Pietro Brollo, l’allora titolare dell’Arcidiocesi di Udine. Più d’uno, infatti, si è chiesto come mai non si sia privilegiata la celebrazione “ad Orientem” (come aveva fatto, appunto, il predecessore di Lamba), visto anche l’uso del latino dall’inizio alla fine del rito, seppure con i ritmi del “Novus ordo Missae”, quello successivo al Concilio Vaticano II.
La Messa è cominciata con il canto, accompagnato dall’organo, di un festoso mottetto di Giovanni Battista Candotti, il sacerdote-musicista codroipese che fu maestro di cappella proprio nella Basilica di Santa Maria Assunta e che ebbe fra i suoi allievi prediletti il cividalese Jacopo Tomadini. Il corteo d’ingresso, dopo la croce astile, era aperto dai canonici del Capitolo della Insigne Collegiata: Loris Della Pietra e Gianni Molinari, di recente investitura, e il decano Adriano Cepparo; quindi il diacono con elmo piumato, Fiorino Miani, il quale con la mano destra brandiva lo storico Spadone e con la sinistra reggeva il prezioso Evangeliario quattrocentesco, l’arciprete di Cividale Livio Carlino e infine, con mitria e pallio, l’arcivescovo Lamba. Più volte, durante il rito solenne celebrato appunto nella storica, bellissima lingua della Chiesa Cattolica, la lunga e pesante lama patriarcale è stata usata per salutare (non benedire), tracciando ampi fendenti, i celebranti e il popolo. Le letture epistolari e il Vangelo sono stati cantati dallo stesso Miani usando le suggestive melodie dell’antico rito cividalese. Mentre i passi principali della Messa, tranne il Credo recitato in latino, sono stati eseguiti dal coro che ha proposto anche altri inni del citato Candotti, fra cui il natalizio “Jesu Redemptor omnium”.
Intensa e ricca di significato la predica del presule, il quale, forse sorpreso da una così massiccia partecipazione, ha osservato: «Anche noi, venuti qui oggi per tanti motivi (fede, tradizione, curiosità) abbiamo un’occasione bella di ripartire, come i Magi, trasformati dall’Amore di Gesù Cristo, il Figlio di Dio, il nostro Salvatore, dopo esserci nutriti della Sua Parola e del Suo Corpo e del Suo Sangue, per essere testimoni di Gioia e di Speranza». Monsignor Lamba ha incentrato le sue parole proprio sul significato dell’Epifania e del Battesimo di Gesù – che sarà ricordato nelle celebrazioni di domenica prossima – e si è chiesto: «Che cosa hanno in comune queste due feste, al di là dei possibili arricchimenti che alcune tradizioni popolari possono aver portato?». «Esse ci portano sempre ancora – si è risposto – all’evento fondativo della nostra fede: Dio si è fatto uomo per amore nostro e per la nostra salvezza. Nulla può essere più come prima!». «Da quella casa di Betlemme – ha aggiunto l’arcivescovo – , dal fiume Giordano, dai villaggi della Galilea e della Giudea, dal Calvario, dal Cenacolo, dal monte dell’Ascensione, molti dopo averlo incontrato (bambino, giovane adulto, umiliato e crocifisso, risorto) sono ripartiti trasformati dal suo Amore, indipendentemente dalla cultura, dalla nazione, dalla razza, dall’etnia, dalla tradizione religiosa».
Al termine della celebrazione, ha preso la parola per un breve saluto al presule e all’assemblea monsignor Carlino, il quale, ricordato che la “Messa dello Spadone” si ripete da ben 659 anni, ha fatto riferimento all’Anno Santo appena incominciato, informando che la Basilica cividalese è stata arricchita da alcune sculture dell’artista Giorgio Celiberti, tra le quali la bellissima Croce posta all’entrata dopo il maestoso portale. Nell’occasione, l’arciprete ha ringraziato la Pro Loco delle Valli del Natisone, Nediške doline, per aver proposto un pellegrinaggio dal Duomo di Cividale al Santuario giubilare di Castelmonte. Concluso, dunque, il rito in Chiesa, lo Spadone – ma, ovviamente, non quello originale – è stato brandito in piazza anche dal bravissimo figurante che ha impersonato il Patriarca Marquardo. Ma di questa rievocazione avremo modo di parlarne diffusamente in altra occasione. Troppo bella e curata, infatti, per archiviarla con poche righe!
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In copertina, la processione d’ingresso aperta dallo Spadone del Patriarca Marquardo; all’interno, momenti della celebrazione presieduta dall’arcivescovo Lamba, i canonici del Capitolo, parte della folla e infine la Croce di Giorgio Celiberti.
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